AMARETTI
Gli amaretti sono prodotti dolciari, secchi o morbidi,
leggermente amarognoli, tradizionali di alcune località del
Piemonte.
Gli ingredienti fondamentali sono: mandorle dolci e/o amare,
zucchero e albume d'uovo. Possono essere aggiunte anche armelline
(noccioli di albicocca) che conferiscono al prodotto il tipico
sapore amarognolo all'amaretto.
A seconda delle zone d'origine possono essere secchi o morbidi,
leggeri o compatti, più o meno amari e le diverse
caratteristiche sono dovute alle differenti miscele degli stessi
ingredienti e alla sapiente lavorazione del maestro pasticcere.
Gli amaretti interi, avvolti con pastella e fritti si possono
trovare nel tradizionale fritto misto alla piemontese. Sbriciolati
sono un importante ingrediente del "Bonet", tradizionale dolce al
cucchiaio piemontese.
BOVINO
PIEMONTESE
Si tratta di una razza tradizionale e
caratteristica del Piemonte in particolare diffusa nel cuneese,
nell'albese e nell'astigiano. E' una razza specializzata per la
produzione di carne facilmente riconoscibile per via del mantello
bianco, in grado di offrire ottime rese di macello e carne di
ottima qualità. La razza è da sempre presente in purezza
nella regione ed è stata in passato utilizzata come razza a
triplice attitudine; era ciò in grado di fornire carne, latte
e forza lavoro. Allo stato attuale è individuata come razza a
forte vocazione per la fornitura di carne che tra l'altro risulta
essere oggettivamente di ottima qualità. Da evidenziare la
caratteristica di alcuni animali definiti "Fassoni" o "della
coscia" di presentare muscoli particolarmente ipertrofici al
livello dorsale e a livello della coscia "Groppa doppia e/o coscia
doppia". Tali animali sono particolarmente apprezzati sia per la
resa in carne ancora migliore nei confronti degli altri soggetti
della razza.
Le femmine producono latte in quantità piuttosto limitata, nei
confronti di altre razze, ma di ottima qualità; il latte delle
bovine piemontesi da sempre ha fornito la base per le attività
di caseificazione del Piemonte e quindi per moltissimi formaggi
riconosciuti ora come tradizionali.
Le carni ottenute dagli animali di Razza Piemontese sono famose
nella tradizione per le preparazioni gastronomiche e culinarie tipo
i bolliti, la carne cruda all'albese, i brasati ecc.
BRUT E
BON
I Brût e Bon chiamati anche "Brût ma
Bon", in italiano "Brutti e/ma Buoni" sono pasticcini secchi, di
forma irregolare. Gli ingredienti, che parzialmente variano da zona
a zona, sono mandorle e/o nocciole, zucchero semolato, albume
d'uovo e vaniglia. Si possono anche produrre pasticcini
aromatizzati alla cannella e/o ricoperti di cioccolato.
Per la preparazione di questi biscotti, occorre montare albume e
zucchero, aggiungere le nocciole e/o le mandorle tostate in
granella (o spezzettate con il matterello) e vaniglia. Il miscuglio
ottenuto si passa in tegame a fuoco lento rimescolando fino ad
ebollizione. Quindi, con un cucchiaio di legno si preparano dei
mucchietti di impasto di forma irregolare su una carta oleata e si
cuociono in forno lento a 160°C per circa venti minuti. I
biscotti ottenuti possono essere conservati per alcuni mesi, se
mantenuti ad una temperatura inferiore a 20°C.
CAPPONE
DI VESIME
Galletti capponati a mano ed allevati in modo
tradizionale tipici del vicino Comune di Vesime.
CIPOLLA BIONDA
ASTIGIANA
Le piante di cipolla bionda, alte circa 50 cm,
producono un bulbo piriforme di grande dimensione (200 g
circa).
La semina si effettua a spaglio in serra fredda. Il trapianto in
pieno campo si effettua a fine aprile - inizio maggio: le piantine
vengono disposte a distanze di 20x15 cm. La raccolta si effettua
manualmente, a fine agosto, e si procede direttamente in azienda
all'essiccazione del prodotto, prima di procedere allo stoccaggio
ed alla commercializzazione.
Le piante selezionate per la riproduzione devono presentare bulbi
con la forma tipica della specie, oltre che dimensioni elevate.
Particolare attenzione viene inoltre rivolta, in fase di selezione,
alla resistenza alle manipolazioni dei bulbi ed alla loro
conservazione. Quelli prescelti si conservano sino alla primavera
successiva per poi procedere all'impianto. Il seme giunge a
maturazione a fine agosto.
La qualità di maggior pregio è costituita, oltre che da
una buona embricatura delle tuniche esterne, dalle caratteristiche
organolettiche di particolare pregio e dal gusto spiccatamente
dolce che la fa prediligere dal consumatore rispetto alle cultivar
comunemente diffuse. Il prodotto viene collocato direttamente sul
mercato locale.
CIPOLLA ROSSA
ASTIGIANA
La pianta della cipolla rossa raggiunge
un'altezza di circa 50 cm, ha un bulbo piriforme, caratteristico e
di notevole pezzatura (circa 200 g.). Le brattee esterne assumono
la classica colorazione rosso intensa ed i bulbi presentano una
buona compattezza delle brattee tale da consentire un'agevole
manipolazione del prodotto.
La semina si esegue in serra fredda a spaglio. Con il trapianto,
che avviene a fine aprile - inizio maggio, in pieno campo, le
piantine vengono disposte a distanze di 20x15 cm. La raccolta,
eseguita manualmente, è effettuata a fine agosto seguita
dall'essiccazione del prodotto.
Il seme viene prodotto in azienda scegliendo i bulbi di maggiore
dimensione, ben conformati; questi vengono conservati a parte per
poi essere piantati in aprile, in appositi appezzamenti isolati da
altre colture di cipolla da seme. Il seme si raccoglie a fine
agosto; successivamente, si provvede a selezionare la semente prima
di utilizzarla nelle semine di campo.
Il gusto della cipolla rossa astigiana è delicato e tale
caratteristica ne costituisce il maggior pregio. La produzione,
tipicamente autunnale, trova collocazione esclusivamente sui
mercati locali e/o sul mercato di Torino.
COPPI DI
LANGA
I "Coppi di Langa" sono biscotti secchi prodotti
artigianalmente con alcuni ingredienti caratteristici della
tradizione piemontese: nocciola "Tonda Gentile delle Langhe e miele
millefiori da apicoltura dellAlto Monferrato. Gli ingredienti sono
noti ma non la ricetta che è gelosamente custodita da una
pasticceria di Canelli (Asti).
La lavorazione ha inizio impastando il burro con lo zucchero e
lalbume duovo, fino ad ottenere una crema omogenea; poi si
aggiunge, sempre mescolando, farina di nocciole (ottenuta dopo
tostatura, pelatura e macinazione di nocciole), miele, farina di
grano tenero, lievito secco e sale. Dopo una notte di riposo a
4°C, la pasta viene stesa su di una sfogliatrice a 3 mm di
altezza circa e, successivamente, tagliata e sagomata con rulli
specifici. La cottura, ad una temperatura di 200°C per 15
minuti circa, avviene in teglie ondulate, disponendo i biscotti ad
uno ad uno sulle teglie che conferiscono la classica forma dei
coppi, le "tegole" delle tradizionali cascine di Langa.
La storia La produzione
iniziò nel 1970 ad opera di un pasticcere di Canelli che
iniziò nel 1970 ad elaborare e sperimentare una ricetta di
biscotto secco a base di soli ingredienti tradizionali piemontesi.
Inizialmente il prodotto era commercializzato come "tartelletta" ed
era offerto insieme ad altra biscotteria; solo più tardi il
biscotto assunse la caratteristica forma che ha tuttora.
FARINA PER POLENTA TRADIZIONALE DI
LANGA
Le quattro varietà tradizionali di mais per
produrre farina per polenta sono:
? LOttofile: prende il nome dalla caratteristica specifica di
avere una pannocchia con otto file longitudinali di chicchi dalla
forma arrotondata di colore arancio, molto ricchi di amido. Veniva
seminata per lo più nella Langa alta ed ha un ciclo produttivo
medio.
? La Pignolet: deriva il suo nome dallavere i chicchi dotati di
una piccola protuberanza che fa assomigliare la pannocchia
vagamente ad una pigna. I semi sono di un bel colore arancio vivo
con un contenuto della frazione amidacea e setolosa molto
equilibrata. Si semina a partire dalla bassa Langa sino alla
pianura Cuneese e Torinese con un ciclo produttivo medio
precoce.
? Il Marano: è un mais dal ciclo produttivo precoce, con una
pannocchia molto piccola dai chicchi di un bel colore
rosso-amaranto vivo, con una frazione setolosa preponderante
rispetto alla frazione amidacea. Veniva seminato dalla bassa Langa
sino al Monferrato e allAlessandrino.
? La Quarantina: chiamata così per il suo
ciclo produttivo precocissimo, veniva seminata in tutta lareale
langarolo, soprattutto in secondo raccolto e quando le avverse
condizioni climatiche impedivano la semina di mais Ottofile,
Pignolet e Marano in modo da poter avere, comunque, la produzione
necessaria per il sostentamento della famiglia giacché era
impensabile sopportare una annata senza la produzione di mais da
polenta.
Bisogna ricordare che tutte e quattro le varietà di mais
necessitano di cure maniacali nel mantenere la purezza della
tipicità che si ottiene con la selezione annuale delle
migliori pannocchie che vengono accantonate per essere utilizzate
come seme per la successiva annata; le varietà di mais in
oggetto si stanno estinguendo proprio perché i vecchi
contadini, che conoscevano bene lesigenza e la tecnica di
selezione, non tramandano più il loro sapere ai figli,
perché la semina dei mais nostrani non è più una
esigenza primaria e, commercialmente, non vengono assolutamente
valorizzati dallindustria di trasformazione.
I mulini che producono farina tradizionale per polenta fanno
seminare con contratti di produzione le varietà di mais in
oggetto, garantendo ai contadini prezzi adeguati alla eccezionale
bontà delle stesse (prezzi superiori anche di 3-4 volte
rispetto a quelli pagati per le varietà comunemente
coltivate). La bontà della materia prima viene poi esaltata
dalla miscelazione delle quattro varietà e dalla
macinazione.
Non si incontrano grandi difficoltà nel trovare contadini
disposti a seminare i mais nostrani perché le tecniche di
produzione che vengono imposte sono quelle tradizionali sino a
40-50 anni fa, più rispettose della natura e vicine alla
sensibilità ambientale che sta facendosi strada in molti di
loro, ottenendo, peraltro, una adeguata remunerazione.
La storia Nelle Langhe, come in tutto il resto
del Nord Italia ove la polenta era alimento della dieta
giornaliera, sino agli anni cinquanta, era consuetudine da parte
dei contadini seminare grandi superfici di mais per uso zootecnico
e riservare una parcella del campo migliore dellazienda per la
semina della meliga per la polenta. La meliga per la polenta era il
frutto di selezioni durate decenni, effettuate direttamente dai
contadini allo scopo di ottenere un mais dalle qualità
organolettiche eccellenti senza curarsi dellaspetto produttivo, a
differenza di quello ad uso zootecnico che doveva e deve tuttora
soprattutto essere una varietà molto produttiva.
Così si selezionarono lOttofile, la Pignolet, il Marano e la
Quarantina.
Negli anni Sessanta e Settanta, la tradizione di consumare polenta
era andata progressivamente perdendosi e, di pari passo, si era
persa labitudine di seminare i mais tradizionali per la polenta.
Si era anche perso il "gusto" della polenta tradizionale
soppiantata da polentine preparate con le varie farine industriali
(bramate, semolate, ecc.) dai tempi di cottura più brevi e di
più facile reperimento ma dalle caratteristiche organolettiche
piuttosto anonime.
A cavallo tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta,
si è iniziato un paziente lavoro di ricerca degli ultimi
contadini che ancora seminavano le varietà di meliga nostrana
per polenta e, solo grazie allintraprendenza di imprenditori
appassionati, si è potuto salvare lOttofile e la Pignolet che
erano veramente sullorlo dellestinzione.
GRISSINO
STIRATO
Gli ingredienti del "Grissino stirato" (Ghersin
stirà) sono: farina di grano tenero 0 oppure 00, acqua,
lievito e sale.
Secondo alcuni panificatori, nel prodotto tradizionale, non
dovrebbero essere presenti grassi di origine animale e vegetale
(Panificatori delle Valli di Lanzo e delle Valli Chisone e
Germanasca), secondo altri, invece, il grissino stirato
tradizionale potrebbe anche contenere strutto oppure olio e strutto
(Panificatori di Torino).
Le fasi della panificazione del grissino comprendono limpasto
della farina con gli ingredienti di cui sopra, la preparazione
della forma (stiramento), la lievitazione durante la quale si
lasciano riposare gli "stirati" e la cottura in forno a temperatura
che varia tra i 200/250°C e che, a differenza del pane, è
prolungata per eliminare in tal modo tutta lacqua contenuta. Ne
consegue un prodotto leggero e friabile, facilmente assimilabile in
quanto parte dellamido si trasforma in destrina e maltosio che
facilitano notevolmente la digeribilità del prodotto.
Un tempo, i forni impiegati erano tutti a legna, attualmente
soppiantati da quelli elettrici.
Per ottenere gli "stirati" si parte da liste di pasta lunghe 10
centimetri e larghe circa 3 che vengono allungate tirandole
lentamente ai capi, per circa 1,50 metri (grosso modo lampiezza
delle braccia aperte).
La storia Il termine grissino deriva da
"grissia" o "gherssa": il pane, un tempo a forma allungata e
stretta, usato in tutto il Piemonte, simile allattuale baguette
francese. Esasperando la forma allungata del pane e
assottigliandola sempre più è nato il grissino; la
paternità è, a tuttoggi, molto discussa, di certo fece
la comparsa alla metà del 1600.
Il Cibraio, al riguardo, racconta che "c'erano dapprima dei pani
allungati fini di tre once circa di peso, chiamati grissie.
Migliorata la pasta, recandola a tale tenacità da potersi
tirare in cordicelle lunghe un braccio, senza romperle, si
procedette all'invenzione dei grissini".
Pare sia stato alimento provvidenziale per il giovane figlio del
Duca di Savoia e, al riguardo, il Carutti, nella "Storia di
Vittorio Amedeo II" racconta: "il dottor Pecchio di Lanzo, chiamato
a curare il giovanetto Duca Vittorio Amedeo II, sbandì pozioni
e boccette ed ogni generazione medicinali, lo fece nutricare di
panne grissino, onde, la natura aiutante, il suo corpo
rinvigorì".
Il dottor Teobaldo Pecchio, attribuendo la causa del male al pane
mal cotto, ordinò tale cura per guarire il giovane che
soffriva di febbri e disturbi intestinali, a testimonianza che il
grissino stirato era già conosciuto a Lanzo in quel
periodo.
Questa nuova forma di pane, chiamato dai nobili anche panbiscotto,
era dapprima solo privilegio dei ricchi, mentre il popolo si
nutriva ancora di pane, le grissie, ove, per la preparazione, si
mescolavano farine di segale (la principale), di orzo e di
grano.
Anche in Francia giunse, in quel periodo, il grissino tanto che
sono citati i grissini descritti come "pain long du Piemont" e,
alla corte, fu nominato "Le petit baton de Turin".
I cereali, a quei tempi, dopo la mietitura, venivano battuti a mano
e poi macinati nei mulini sparsi per le Valli.
Le macine dei mulini erano costituite da ruote di pietra grigia
azionate da una grande ruota di legno che funzionava con la potenza
dellacqua.
Anche i forni erano distribuiti nei paesi e, a turno, le famiglie
se ne servivano per fabbricare il pane, per loro, ed i grissini per
i Signori del luogo.
LARDO
Si tratta di uno dei tagli di maiale più
utilizzato e di cui si hanno testimonianze fin da quando era
utilizzato anche a scopo terapeutico per guarire il cosiddetto
"Fuoco di Sant'Antonio".
Il lardo in Piemonte ha tradizioni antichissime ed ha sempre
costituito una base per lalimentazione popolare, oltre ad essere
utilizzato come battuto nelle preparazioni gastronomiche e di
cucina veniva spesso utilizzato per lardellare le carni o veniva
accompagnato con i prodotti locali anche semplici tipo le
castagne.
MELA DI SAN MARZANO
OLIVETO
La mela di San Marzano è coltivata sulle
colline Sanmarzanesi, dove, le peculiari caratteristiche
pedoclimatiche della zona, conferiscono al prodotto finale, mele
della varietà Golden, eccellenti qualità organolettiche
che ne esaltano, in particolare, i profumi, ed hanno un giusto
equilibrio tra acidi e zuccheri che assicurano anche una buona
conservabilità del prodotto. La mela di San Marzano è una
mela di buona pezzatura, croccante, con alto valore biologico.
I frutti vengono raccolti manualmente allincirca nella prima
decade di settembre quando linsieme di colorazione, acidi e
zuccheri hanno raggiunto i livelli qualitativi ottimali. Essi sono
posti in cassette o bins e trasferiti in azienda, dove è
effettuata una selezione dei frutti, per scartare quelli che
presentano difetti visivi dovuti alla presenza di danni da agenti
patogeni o a traumi meccanici di raccolta e di trasporto. E,
inoltre, effettuata una calibratura dei frutti per uniformare il
prodotto posto in vendita. La maggior parte delle mele è
rivolta al consumo immediato mentre le partite destinate ad essere
consumate dopo qualche mese vengono stoccate in celle
refrigerate.
E un prodotto tipico del territorio che
circonda Canelli (San Marzano Oliveto, Mosca, Calamandrana e Nizza
Monferrato).
MIELI DEL
PIEMONTE
Il miele, secondo la norma internazionale
emanata dalla Commissione del Codex Alimentarius F.A.O/O.M.S., nel
1998, è "il prodotto alimentare che le api domestiche
producono dal nettare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da
parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse
bottinano, trasformano e combinano con sostanze specifiche proprie
e lasciano maturare nei favi dell'alveare".
La metodica di lavorazione consolidata nel tempo prevede le
seguenti operazioni:
? disopercolatura dei favi;
? estrazione per centrifugazione;
? filtrazione;
? decantazione;
? invasettamento.
Tale metodica è sostanzialmente la stessa fin da quando in
apicoltura venne adottato il favo mobile (secolo scorso) e fu resa
possibile lestrazione del miele senza ricorrere allapicidio.
La produzione di miele avviene in quasi tutto il Piemonte e risulta
diversificata per le svariate situazioni altimetriche presenti ed
una flora altrettanto variabile.
Tra i tipi di miele prodotti nel nostro territorio possono essere
ricordati, per le loro elevate caratteristiche qualitative,
varietà monoflorali come:
I. il miele di acacia: è il più importante della nostra
regione, sia in termini economici che di notorietà; è un
miele chiaro e fluido; esso viene prodotto soprattutto nella fascia
collinare del Monferrato astigiano ed alessandrino, ma anche da
alcuni apicoltori delle province di Novara e Vercelli;
II. il miele di tiglio: viene prodotto in alcune zone del Piemonte,
soprattutto nel Novarese (dalla Val dOssola proviene la maggior
parte della produzione), in Val Pellice e nelle Valli di Lanzo. E
un miele cristallizzato con un gradevole aroma.
OSSA DA
MORTO
I biscotti "Ossa di morto", chiamati anche "Ossa
da Morder", sono dei prodotti di pasticceria secca tipici di alcune
località del Vercellese e del Novarese che da tempo
immemorabile vengono prodotti anche dalle pasticcerie della Valle
Belbo.
Gli ingredienti, che possono anche leggermente variare da zona a
zona, sono: farina di grano tenero, mandorle dolci e/o nocciole,
zucchero, albume duovo ed aromi.
I biscotti in oggetto si differenziano dai "Brût e bon" per la
presenza di farina bianca.
Per la preparazione, occorre impastare zucchero e farina con albume
duovo in modo da ottenere una pasta un po compatta. Si uniscono
le mandorle intere e/o le nocciole. Si arrotola la pasta sul tavolo
e, con un coltello, si taglia in tante fette e si modella con le
dita, in modo da ottenere la caratteristica forma ad osso. Si
sistemano su una teglia unta di burro ed infarinata ed, infine, si
infornano a 180°C per quindici-venti minuti. I biscotti
ottenuti possono essere conservati per alcuni mesi se mantenuti ad
una temperatura inferiore a 20°C.
PANCETTA CON
COTENNA
Si tratta di una pancetta ripiegata su se stessa
con la cotenna che la ricopre che combacia e viene cucita con lo
spago, molte volte viene legata. Le modalità di produzione
sono piuttosto eterogenee a seconda della zona territoriale.
Generalmente le pancette sono salate a secco ed aromatizzate.
Rimangono in salagione, aperte, per 21 giorni, poi vengono appese e
fatte sgocciolare. Sono infine piegate su se stesse "a libro" e
legate.
PASTE DI
MELIGA
Le Paste di Meliga sono biscotti tipici delle
vallate cuneesi e di altre zone del Piemonte.
Presentano una pezzatura di 10-12 grammi, un colore dorato, una
consistenza croccante, un sapore dolce ed una forma variabile a
seconda della tradizione locale.
Per preparare le Paste di Meliga occorrono: 1 kg di farina di
frumento, 0,500 kg di farina di mais (meliga fumetto), 1 kg di
burro, 0.700 kg di zucchero, 5 uova intere, 10 g di sale, 1 scorza
di limone grattugiata ed una bustina di lievito chimico.
Per la preparazione del prodotto, si incorporano bene il burro, lo
zucchero con le uova, il sale e la scorza di un limone. Si setaccia
la farina con il lievito, si impasta brevemente il tutto e si fa
riposare una decina di minuti in luogo fresco.
Si inserisce limpasto nellapposita siringa con il disco a stella
e si formano degli anelli del diametro esterno di circa 5
centimetri.
Le Paste di Meliga vengono cotte su apposite teglie a forno
moderato.
Nella zona di Barge, assumono la denominazione "Batiaje"; questi
dolci prodotti con farina di mais erano, un tempo, offerti durante
la festa del battesimo. "Fè batiè", in piemontese,
indicava, appunto, festeggiare il nascituro.
PATATE DELLALTA VALLE
BELBO
La patata appartiene alla famiglia delle
Solanaceae e alla specie Solanum tuberosum L. Le parti verdi della
pianta contengono un alcaloide velenoso, la solanina, che compare
anche nei tuberi a seguito di una lunga esposizione alla luce.
Indice di maturità dei tuberi è il graduale ingiallimento
della parte aerea e la buona aderenza della buccia alla polpa.
La raccolta può essere anticipata o per motivi di mercato
(patata primaticcia) o per evitare attacchi tardivi di malattie da
virus, nel caso di produzione di patate da seme.
Poiché la coltura della patata ha buone capacità di
adattamento alle diverse condizioni pedoclimatiche, risulta
presente in tutte le fasce altimetriche.
Le patate dellAlta Valle Belbo sono caratterizzate dalle loro
qualità organolettiche, apprezzate per il consumo fresco. La
coltivazione avviene su terreni non eccessivamente fertili e senza
possibilità di essere irrigati, quindi, a compensare una
diminuzione delle rese, vengono esaltate le caratteristiche
organolettiche-sensoriali. Si può, quindi, asserire che le
patate dellAlta Valle Belbo siano molto più saporite rispetto
alle varietà che si possono reperire normalmente sul
mercato.
Attualmente, sono scarsamente prodotte le vecchie varietà, che
derivavano essenzialmente da riproduzioni aziendali, per cui le
cultivar attualmente coltivate sono fornite dal mercato nazionale
ed estero. Il particolare ambiente pedoclimatico non consente
semine eccessivamente anticipate, quindi, linizio della raccolta
coincide, generalmente, con la prima decade di agosto.
Un importante fattore da sottolineare è il limitato numero di
trattamenti effettuati in quanto, particolarmente nelle zone
più alte (fino a 900 m s.l.m.), con temperature relativamente
basse, generalmente non si eseguono interventi per la
peronospora.
La difesa fitosanitaria in genere è, comunque, controllata e
limitata alle reali necessità sulla base degli andamenti
stagionali.
Il prodotto viene principalmente venduto per il consumo fresco e,
in piccole parti, ad industrie di trasformazione, per cui non
subisce processi di conservazione ma solo un provvisorio
stazionamento naturale in magazzino in attesa della
collocazione.
Il 20 agosto 1998, è stato costituito, a Mombarcaro, il
"Consorzio per la valorizzazione e tutela delle patate dell'Alta
Valle Belbo" che ha per finalità la tutela, la valorizzazione
e lincremento della produzione nonché il commercio delle
"Patate dell'Alta Valle Belbo", a difesa e sostegno delle
produzioni della valle che necessitano di salvaguardia.
PROSCIUTTO
COTTO
Il prosciutto cotto appartiene alle produzioni
tradizionali che venivano preparate in casa o in piccole salumerie
e che hanno poi rapidamente preso la strada
dellindustrializzazione. Il prosciutto è ricavato dalla
coscia del maiale, si presenta generalmente di colore roseo, umido
con la tipica forma "a cuore" del coscio di maiale. Per apprezzarne
a pieno laroma ed il sapore il prosciutto cotto deve essere
consumato dopo breve tempo dalla produzione. La coscia viene
tagliata, disossata, modellata lavata e posta in una salamoia dalla
composizione variabile a seconda del produttore e della zona di
produzione; nella salamoia spesso si utilizzano spezie ed erbe
aromatiche tipiche del luogo di produzione, alcuni aggiungono anche
essenze di frutta alla salamoia per addolcire il sapore e laroma
del prodotto finito.
La cottura avviene generalmente a vapore dopo aver posto il coscio
in uno speciale stampo metallico. In passato avveniva in acqua
bollente.
SALAME
COTTO
Si tratta di un insaccato di carni suine che
viene prodotto con metodiche diverse a seconda della zona del
Piemonte.
SALAME DEL
CIOS
Salame insaccato nel budello grande cieco; si
presenta perciò delle dimensioni di una coppa ed è
più morbido e di più lunga durata (si consumava
tradizionalmente fino a tutta lestate).
E un salame tipico prodotto nel vicino Comune
di Calosso e nella Valle Belbo in genere.
SALAMI AROMATIZZATI DEL
PIEMONTE
In Piemonte vi è una fiorente tradizione
relativa alla produzione di salami suini. Essi si presentano
generalmente con le classiche caratteristiche del prodotto,
cioè insaccato e legato con spago, con dimensioni differenti
anche a seconda del budello utilizzato per la produzione. Diverse
sono anche le caratteristiche relative alla proporzione di tagli
magri e grassi utilizzati ed alla dimensione della macinatura della
pasta (fine, grossa).
Un discorso particolare riguarda la "concia", infatti ogni zona
produce salami utilizzando generalmente i vini tipici del luogo e
diverse proporzioni di aromi e spezie, spesso caratteristiche del
luogo per produzione o per tipologia di gusto consolidato nel
tempo; molto spesso viene utilizzato anche aglio, tartufo o altri
aromatizzanti che conferiscono al prodotto note caratteristiche
tipiche del luogo di produzione.
SALSICCIA AL
FORMENTINO
Salsiccia sottile, tradizionalmente più
magra delle normali salsicce, fresca e priva di conservanti
Si utilizzano: spalla disossata, pancette, sale,
pepe, chiodi di garofano e cannella, più il Furmentin (Vino
bianco secco tipico della zona di produzione del salume). Il vino
bianco è messo in "infusione" con aglio, chiodi di garofano e
cannella. La carne, tritata e impastata con gli altri ingredienti,
è insaccata in budellini di capretto. La salsiccia si consuma
fresca.
E una tipica produzione del vicino Comune di
Cossano Belbo
SEDANO
DORATO ASTIGIANO
Le piante di sedano dorato hanno elevato vigore
vegetativo, le foglie sono ampie ed erette, presentano costolature
centrali di colore giallo intenso-dorato, di elevate dimensioni ed
a sezione quasi piena. La densità elevata che ne caratterizza
la coltivazione determina un naturale imbianchimento dei tessuti
eduli, conferendo loro ottime caratteristiche organolettiche.
La semina del sedano dorato viene effettuata in semenzaio,
successivamente si procede ad un primo trapianto in cubetti di
torba e ad un secondo trapianto dopo circa 45 giorni. La
coltivazione si effettua sotto tunnel adottando distanze di cm
50x20. La raccolta avviene manualmente e, contemporaneamente,
avviene il rinettamento e lincassettamento.
Nella zona di produzione considerata, vengono coltivate due
selezioni di sedano dorato, quella "Giuseppe" e quella "Rissone".
Rispetto al tipo "Giuseppe" le piante della selezione "Rissone"
presentano un cespo centrale poco foglioso al suo interno, ciò
lo rende meno suscettibile alle principali avversità fungine e
batteriche.
Il prodotto, dal peso di 1-1,5 kg/cespo, presenta elevata
qualità, buon aroma e poca fibrosità, tanto da essere
preferito dai consumatori locali rispetto agli altri tipi presenti
sul mercato.
Il prodotto trova sbocco esclusivamente sui mercati piemontesi.
SEIRASS DI
LATTE
Colore bianco candido. Consistenza leggera,
grana finissima, sierosa. La forma è conica, dovuta al
sacchetto di stoffa nel quale si fanno scolare i fiocchi di
cagliata.
Metodiche di lavorazione
Il latte intero di pecora o di vacca è portato a 30 °C.
Si aggiunge caglio e sale e poi si porta la temperatura fino a 75-
80 °C, miscelando in continuazione fino allaffioramento. A
freddo la cagliata è sbattuta per provocare la rottura dei
grumi che si sono formati. Infine si procede allinsaccamento nei
coni di tela.
La storia
Il prodotto esiste da sempre ed un tempo era fabbricato più
che altro dai margari.
Tra le testimonianze orali ad esso relative si ricorda il fatto che
già decine di anni fa il Seirass di latte era venduto nel
mercato torinese di Porta Palazzo; i camion dei grossisti - i quali
acquistavano il prodotto nelle cascine - avevano il disegno del
caratteristico "cono" e la scritta "Ricotta Piemontese suddetta
Seirass".
Si segnala inoltre una canzone del cantautore piemontese Gipo
Farassino sul Seirass.
TORRONE DI
NOCCIOLE
Il torrone è un dolce prettamente italiano,
già conosciuto dai romani, e che ebbe ampia diffusione in
Italia nel Medioevo. In Piemonte, questo dolce viene prodotto in
particolare nelle zone di Asti ed Alba, utilizzando, come
ingrediente caratterizzante, le nocciole.
TORRONE ASTI Il Torrone Asti viene prodotto con i seguenti
ingredienti: nocciole, sciroppo di glucosio, miele, zucchero
semolato, albume, vanillina ed ostie (farina).
Prima dellaggiunta delle nocciole, il prodotto base (sciroppo di
glucosio, miele, zucchero, albume), previa agitazione per
aumentarne il volume, deve essere sottoposto a cottura fino a
completa eliminazione dellumidità e comunque per un periodo
non inferiore a 6 ore.
Il Torrone Asti viene prodotto esclusivamente nel tipo "friabile" e
non viene sottoposto a nessuna ricopertura. Le caratteristiche
peculiari di questo torrone sono date dai suoi ingredienti di base:
nocciole e miele.
Le nocciole normalmente usate per il Torrone Asti appartengono alla
cultivar "Toda Gentile delle Langhe", cui è stata conferita
lIndicazione Geografia Protetta (IGP) con la denominazione
"Nocciola del Piemonte".
Questa nocciola presenta delle caratteristiche di qualità
superiore dovute innanzitutto alla zona di coltivazione collinare e
prealpina, compresa fra i 250 e i 600-700 metri di altitudine.
Inoltre, la forma dimpianto a cespuglio e la limitata presenza di
piante (da 200 a 400 per ettaro) permette una perfetta cura e
maturazione del prodotto.
La "Nocciola del Piemonte" presenta una tessitura compatta e
croccante, con sapori ed aromi finissimi che una tostatura a fuoco
molto basso e molto lenta conserva intatti nelle nocciole tostate e
da queste vengono trasmesse al torrone.
Il miele utilizzato proviene esclusivamente da alveari
piemontesi.
Si tratta di miele "Millefiori" di colore chiaro che proviene da
allevamenti di api posti in collina o nella zona preappenninica ,
con una alta percentuale di miele di acacia che unito al miele di
fiori alpini acquisisce una delicata fragranza di fiori. La cottura
molto lenta utilizzata per produrre il torrone,non altera il
profumo del miele stesso.
Si ha come risultato un prodotto dal gusto inconfondibile e dal
profumo di fiori di bosco che conferiscono al Torrone Asti
caratteristiche organolettiche che lo differenziano nettamente dai
torroni di altra provenienza.
Per il "Torrone Asti" è stata presentata istanza di
riconoscimento dellattestazione comunitaria IGP da parte della
ditta Barbero. La comunicazione di tale richiesta è stata
pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte.
TORRONE DALBA E DELLE LANGHE Il Torrone delle Langhe
è formato da un impasto composto da miele, zucchero e glucosio
contenente una elevata quantità di Nocciole del Piemonte.
Dal momento che il metodo di lavorazione tradizionale prevede una
lenta cottura a "bagno maria" degli ingredienti, sono utilizzati
calderoni a doppio fondo per consentire la circolazione dellacqua
calda o del vapore.
Non sono necessari imballaggi particolari, ma è opportuno
luso di materiali che consentano il miglior isolamento possibile
dallumidità in quanto lumidità stessa ed il caldo sono
i peggiori nemici delle caratteristiche organolettiche del
torrone. |